"È impossibile non pensare ad un secondo Olocausto nello svolgere lo sguardo verso i disperati che arrivano sulle nostre coste e i numerosi morti. Incontrai John per il progetto “(A)mare Conchiglie” videoperformance dove i protagonisti, migranti dal mare ed ex emigrati italiani all’estero, hanno raccontato le loro vicende in un parallelismo tra la nostra e la loro storia. John è uno dei tanti migranti di un centro di accoglienza di Nettuno: “Nelle prigioni libiche sotterranee vivevamo stipati in celle scavate nel terreno. Per sopravvivere cercavamo di farci spazio utilizzando strumenti di fortuna, addirittura i cucchiai. Chi si ammalava veniva portato via. Ricordo l’ultima volta che ho posato gli occhi sui volti di molti amici. Ci raccontavano che veniva fatta loro una iniezione. Non facevano più ritorno.”