Siamo negli anni '50. La guerra è finita, i fervori della ricostruzione e la forte motivazione di quella generazione sono una spinta non solo per l'economia:la gente inizia a viaggiare, si accorciano le distanze e dalla campagna ci si sposta alla città. Il bagaglio culturale è quello della psicoanalisi che invita alla riscoperta istintiva della corporeità, la perdita del controllo. La rivoluzione sessuale che seguirà da li a poco necessita di una forma d'arte che possa essere consumata al momento, hic et nunc, provocatoria e irrazionale.Gli azionisti viennesi, gli americani, le femministe.
Siamo nel primo decennio del 2000. La società liquida di Zigmunt Baumann descrive questo nostro periodo storico privo di appigli e certezze.L'arte performativa non ha il sapore della protesta, ma è una scelta fisiologica: niente contenitori, sebbene il corpo sia il canale.Avrebbe potuto conoscere un nuovo fervore, se non avesse subito le conseguenze della crisi economica: anche il 29 deviò i percorsi artistici, oltre che abbattere la spensieratezza. Non solo i rapporti di lavoro sono diventati precari: le relazioni, le storie. Se l'atto performativo è puramente estetico, orpelli tecnologici rischiano di produrre quell'arte cattiva che puzza di furberia tanto cara a certi movimenti extraeuropei ed improvvisati artisti. E' necessario recuperare i significati profondi, evitare di strizzare l'occhio alle aziende sponsor: facendo così scordatevi pure una commissione,in compenso conterrete il paradigma del pressapochismo dilagante.
Kyrahm