Avevo sentito parlare di amianto nei fatti di cronaca. Spesso accostato a parole come “silenzioso”, “micidiale”, “killer”, l’amianto apparee nei titoli dei giornali, nei servizi televisivi, nei resoconti giudiziari con storie drammatiche di morte. Lavoratori esposti per anni senza protezione, famiglie distrutte, malattie che si manifestavano dopo decenni. E poi l’impotenza, i ritardi della giustizia, la sensazione di essere abbandonati da un Paese che troppo spesso si è mostrato sordo e cieco.
Una delle ragioni per cui ho scelto questa professione è quella di raccontare la verità, dare voce a chi non ce l’ha, accendere un riflettore dove regna l’oscurità: questi erano, e sono ancora, i miei principi guida, come artista e giornalista.
Da quando sono entrata in contatto con l’Avv. Ezio Bonanni dell’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto, e con le persone che ogni giorno combattono questa battaglia, ho cominciato a Informarmi sullo stato dell’arte dell’amianto, sulle normative, sulle patologie correlate, sui numeri che ancora oggi impressionano. Tutto questo è diventato molto più di un esercizio professionale. È diventata una missione. Un dovere morale. Un’urgenza interiore. Una delle prime cose che ho imparato è che questa sostanza killer non è un problema del passato. Non è “superato”. In Italia si continua a morire di amianto, ogni giorno. 40 milioni di tonnellate di amianto sono ancora presenti in scuole, ospedali, edifici pubblici e privati, impianti industriali. La bonifica è lenta, a tratti inesistente. I controlli insufficienti. E la consapevolezza collettiva, ancora troppo bassa.
La collaborazione con l’ONA mi ha permesso di approfondire un mondo fatto di dolore, di lotta, di ostinazione, ma anche di speranza. Ho incontrato vittime dell’amianto e dell’uranio impoverito, famigliari, medici, legali. Persone segnate nel corpo e nell’anima, ma incredibilmente forti, determinate a non lasciare che la morte dei loro cari sia stata vana. Storie che ti restano dentro, che ti cambiano, che ti fanno rivedere le tue priorità. . Non ci si abitua mai al racconto di chi ha perso un padre, un marito, una madre, una figlia. Non si rimane indifferenti di fronte alla dignità con cui molte vittime affrontano la malattia, cercando al contempo di aiutare gli altri, di sensibilizzare, di informare. C’è una sorta di solidarietà profonda, quasi ancestrale, che unisce chi ha vissuto questa tragedia. Ed è forse qui che ho sentito quel coinvolgimento più profondo.
Scrivere di amianto diventa quindi dare un senso di urgenza al presente. È parlare di prevenzione, di tutela, di giustizia. È, in fondo, un atto politico, nel senso più nobile del termine.
Mi sono accorta che questa storia mi tocca in modo particolare perché parla a una parte interiore molto antica, forse anche primordiale: quella legata alla sopravvivenza, alla giustizia naturale, alla difesa dei più deboli. È una voce che viene da dentro e che non puoi ignorare. Un senso di responsabilità che ti spinge ad agire, a non restare in silenzio, a usare le parole come strumento di denuncia ma anche di costruzione.
L’informazione, quando è fatta con consapevolezza e partecipazione, diventa un’arma potentissima. Ma deve essere guidata da un’etica, da un senso di rispetto profondo per le storie che si raccontano. Con l’ONA ho imparato anche questo: che dietro ogni numero c’è un volto, una famiglia, un vuoto. E che ogni articolo, ogni intervista, ogni parola scritta può contribuire a fare la differenza. Può stimolare questioni, può aprire dibattiti, può smuovere coscienze.
Non è sempre facile. Ci sono momenti di sconforto, ma poi poso lo sguardo sul lavoro instancabile dell’Avv. Bonanni che non conosce pause, soste, ferie, impegnato a restituire giustizia alle vittime del dovere. La sensazione è quella di stare vicino ad un professionista che sta scrivendo la storia non solo giuridica, ma del mondo intero. E comprendo che ci possono essere momenti di fortissima tensione, immagino con quanta pressione possa vivere. Sentenze vinte contro grandi istituzioni, apparati dello Stato ed è in lui che si configura nuovamente Davide contro Golia e penso a lui associandolo a nomi di grandi uomini e grandi donne della storia dell’umanità come Falcone, Borsellino, Erin Brokovic.
Non so dove mi porterà questa collaborazione con l’ONA, né quanto durerà. Ma so che mi ha già arricchito profondamente. Mi ha insegnato a scavare, mi ha fatto riscoprire il senso autentico del mio mestiere. E, soprattutto, mi ha fatto sentire parte di qualcosa di più grande: una battaglia di civiltà, che vale la pena di combattere.
Perché non c’è nulla di più umano che lottare per la vita degli altri. Anche e soprattutto quando gli altri non hanno più voce per farlo da soli.
Rita Chessa, giornalista, autrice, regista